Copyright e nuove tecnologie: il dibattito si accende in UE

[space height =”10″]Negli ultimi decenni il digitale e le nuove tecnologie hanno messo a dura prova l’assetto normativo sul Copyright e, allo stato attuale la confusione generata tra le varie legislazioni nazionali e sovranazionali non sembra aver dato i frutti sperati per un’adeguata modifica

Quello che si riscontra è un ispessimento delle pene per violazioni del copyright (come il blocco di un sito web, cancellazione del contenuto illecito, multe ecc.) e per converso una sostanziale inattenzione ai diritti fondamentali dell’uomo. Il vuoto normativo, infatti non consente di distinguere una chiara violazione del diritto d’autore da un utilizzo per “pura manifestazione” di libertà di espressione e diritto all’informazione insita nella logica stessa dell’era digitale.

É un vuoto normativo, tanto nazionale quanto comunitario che mette in secondo piano la merce qui in oggetto: ossia le opere intellettuali digitali (musica, video, software…) che rispetto a tutti gli altri beni e servizi non godono della medesima mobilità nel “mercato unico”.

É poi, un blocco all’innovazione, al progredire della cultura e tra le cose, un persistente sistema che privilegia, con le leggi sul copyright, l’oligopolio delle grandi e potenti case editrici, discografiche e cinematografiche( et similia), impedendo alla massa di farsi spazio in un mercato protetto con forza da logiche tradizionali che ne impediscono un flusso in linea con la ratio della “comunicazione digitale“.

Il dibattito ha apportato già notevoli passi avanti, ma le barriere persistono e il flusso sembra escludere “i piccoli pesci” dall’innovazione globale. Nelle istituzioni dell’Unione Europea in dibattito va avanti in vista della sua riforma ma si arresta dinnanzi le visioni contrastanti tra chi crede in una revisione dell’apparato legislativo più garantista per i diritti dell’uomo (Rapporto Adinolfi  e Rapporto Reda) e chi invece auspica un ulteriore passo avanti nella privatizzazione del sistema dei controlli e della gestione dei diritti d’autore (Rapporto Svoboda).

  • In sostanza da un lato si evidenzierebbe l’esigenza di tutelare il cittadino perché vettore e generatore di contenuti e dunque di innovazione;dall’altra un opportuno inasprimento delle modalità di repressione degli illeciti e delle violazioni del copyright facendo appiglio ad una più accesa cooperazione aziendale, bypassando così la difesa di queste libertà fondamentali dalle aule di tribunale in quelle delle società.

Per evitare pesanti ricadute sul mercato europeo digitale l’auspicio è che la riforma si spinga ad assicurare il corretto bilanciamento tra copyright e libertà di espressione, un equilibrio tra opere intellettuali e il loro movimento libero, tra il riconoscimento di titolarità in seno all’autore e la necessaria monetizzazione che queste comportano. Una sintesi non facile da ottenere senza lasciar scontento qualcuno.

Si fa notare inoltre che l’attuale sistema non sia in grado di distinguere, per la virtualità e la presunta assolutezza del Web nel produrre informazioni e contenuti, il reale autore di un’opera, indi per cui il sistema della tutela appare essere debole e non priva di incertezze sull’attribuzione della paternità e dunque titolarità dei diritti. Ma non per questa ragione, commenta il relatore dell‘ONU Farida Shaheed che l’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, fa ben presente che  la paternità di un ‘opera non può essere ceduta se non a mezzo di concessioni (o licenze) sul godimento dei diritti che ne conseguono, decisione che compie volontariamente l’autore solo per gli interessi economici del diritto in questione. Per questa ragione le aziende non possono parlare a nome degli autori né tanto meno portare sul piano privato la difesa di diritti che sono fondamentali e che in ottiche uniche di profitto n on verrebbero nemmeno tenuti in considerazione.

  • La cosa più utile sarebbe quella di spingere la riforma verso una norma aperta alla differenziazione tra casi, ad una negoziazione trasparente e che tenga conto di ogni variabile dipendente, che non sia mai derogabile da contratti, che sposti il dibattito sul pubblico e fuori dagli uffici degli amministratori delegati delle grandi aziende rilevanti, che privilegi il talento, la sua libera circolazione, e che goda di un certo potenziale di differenziazione dalla massa. L’auspicio più importante che si fa è quello che possa trovare delle soluzioni plausibili per limitare il proliferare di siti, informazioni e contenuti non verificabili, dalla difficile attribuzione della paternità e che fornisca una chiara identificabiità delle fonti.

Difendere i diritti d’autore da violazioni, riproduzioni e illeciti senza il permesso dell’autore è condizione imprescindibile di tutela per l’autore ma sarebbe bene distinguere questo, da una semplice riproduzione, copia privata per cui sembrerebbe davvero inopportuna la richiesta di un’autorizzazione per ogni utilizzo privato (come se per ogni articolo web la cui riproduzione risulti riservata ogni singolo utente debba preventivamente richiedere il permesso al suo autore). Qui si ha a che fare con la libertà di conoscenza, la velocità dell’apprendimento propria del web. Per questa ragione sarebbe auspicabile che la sezione delle eccezioni (utilizzo per satira, parodia, reportage, collage) sarebbe una priorità per apportare importanti e funzionali modiche alla normativa.

I sostenitori di un approccio più aperto sono dunque della convinzione che quello che deve mutare sia l’approccio culturale ai nuovi media, uno che privilegi il contatto tra artista e fruitore e che riduca il potere monopolistico di editori e distributori che per molto tempo hanno creato il loro business sull’opera altrui e impedito a molti talenti di sostenere i costi di un mercato quasi d’élite.

[Crediti foto]

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