Lotta alla contraffazione: la retroversione degli utili

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Le azioni di contraffazione (o infrigment) nei paesi ad economia avanzata, negli ultimi decenni hanno subìto una cospicua impennata. I titoli di privativa industriale, le specificità industriali, il loro valore aggiunto, caratterizzato da know how, brevetti, marchi e altre opere d’ingegno, sono i più soggetti a tentativi di “appropriazione” da parte di soggetti terzi, ciò non può che incidere pesantemente sui benefici, onestamente guadagnati sul mercato globale dai titolari stessi.

Per scongiurare il rischio e tentare di porre in essere misure efficaci di lotta alla contraffazione, il legislatore nazionale, comunitario e internazionale, affrontano la questione con l’introduzione di norme vieppiù aspre e punitive nei confronti di condotte illecite.

Uno dei primi strumenti che il governo italiano ha predisposto, di maggiore rilevanza, è stata la modifica al Codice di Proprietà Industriale (2005) con l’art.125, in tema di “retroversione degli utili“, che conferisce al titolare il diritto ad un risarcimento dei danni in caso di lesione della “privativa industriale” in questione, da parte del contraffattore. In adeguamento agli aggiustamenti derivanti dalle Direttive Comunitarie, l’anno successivo ha introdotto al 3° comma la clausola secondo cui “in ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”.

  • La ratio della norma è quella di affermare che gli stessi utili che il contraffattore ha ottenuto in maniera illegale, avrebbe potuto conseguirli se avesse fatto richiesta formale di utilizzo, per mezzo di licenza o concessione del diritto di sfruttare e utilizzare il marchio o il brevetto in questione.

Nel corso degli ultimi anni, l’interpretazione ed applicazione del predetto articolo 125 c.p.i. è stata però sovente oggetto di orientamenti giurisprudenziali contrastanti fondati sulla diversa tesi che il rimedio restitutorio operi in alternativa rispetto a quello risarcitorio o, diversamente, possa cumularsi con quest’ultimo. A favore del primo orientamento, si è schierata una parte considerevole della dottrina secondo cui la vittima di una violazione di privativa deve poter scegliere in modo chiaro la strada giudiziale del recupero di legalità: quella risarcitoria in via principale, prevista ai sensi dell’art. 125 commi 1 e 2 c.p.i., nonché quella indennitaria in via subordinata disciplinata dall’art. 125 comma 3 c.p.i.. Diversamente, a sostegno del secondo orientamento si ritiene ammissibile il cumulo tra il rimedio della restituzione degli utili e quello risarcitorio poiché, come previsto ex art. 125 c.p.i. 3° comma, il legislatore prevede “in ogni caso la restituzioni degli utili”.

Dunque, parte della dottrina ritiene ci si trovi dinanzi ad una “sanzione autonoma” che il giudice debba sempre irrogare laddove richiesto dalla parte.

Una sentenza di avanguardistica visione ha voluto superare l’impasse derivante dal contrasto dei due ordinamenti (Tribunale di Milano, Sez.spec. Impresa, del 19 luglio 2013 “Cornac S.p.a. e Fimap S.p.a. contro Clemak S.r.l.), chiarendo che la “retroversione degli utili” è da considerarsi una sanzione speciale (accessoria, quasi), che va al di là di ogni altra forma di risarcimento. In sostanza i rimedi citati di risarcimento sono alternativi tra di loro, ma il trasferimento degli utili, derivanti dalla contraffazione sono ugualmente perseguibili (metodo restitutorio e non risarcitorio).

E’ doveroso sottolineare che in ogni caso l’ordinamento e la giurisprudenza tendono, di norma ad accordare la migliore tutela al soggetto richiedente, nonché parte lesa dalla contraffazione, e l’applicazione di sanzioni più severe dovrebbe, il linea di principio scongiurare l’avverarsi di violazioni e dunque apportare migliorie sul versante della tutela dei diritti di privativa industriale

 

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