Brevetto Unitario il dibattito europeo e il No dell’Italia

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Il brevetto unitario che impatto avrebbe per le PMI italiane, come potrà contribuire a ridare slancio al tessuto industriale del Paese? Privilegerà una sana competizione o le grandi imprese estere in grado di sostenere i costi?

Queste sono le preoccupazioni più evidenti quando il dibattito pubblico sull’adesione al nuovo sistema fa capolino nell’agenda dei pubblici poteri. Quali sono i pro e quali i contro che impediscono una chiara direzione del governo in Europa?

Nel mondo il 35% dei brevetti proviene dall’Unione Europea, solo il 25% è made in USA, seguito dal Giappone con il 13% e dalla Cina con l’8%. La crescita della competitività europea nei mercati internazionali da sola basta a giustificare la volontà delle istituzioni comunitarie a migliorare le garanzie e le norme a tutela di un brevetto unitario, che riduca le inefficienze e i costi del tradizionale “brevetto europeo”.

Una volta nato, l’UPO sarebbe in grado di far risparmiare alle piccole e medie imprese i costi che in genere affrontano per brevettare in uno o più paesi europei, attraverso l’EPO (che in ogni caso resterebbe l’ufficio competente in materia).
Sempre con l’obiettivo di semplificare e verticalizzare questo settore è stata prevista l’istituzione di una Corte indipendente e autonoma in ogni Paese membro per dirimere le controversie ad esso collegate. Una sorta di tribunale unificato che per la complessità della situazione richiede un intervento più omogeneo, stante la rilevanza sovranazionale dei legami che porta con sé.

Allo stato attuale solo 25 paesi su 27 hanno firmato il trattato sul Brevetto unitario, pochi di questi lo hanno ratificato e ancora meno paesi hanno firmato gli accordi sulla nascita del tribunale ratificato.

  • Il perché della procrastinazione lo si deve ad alcune specificità operative del sistema così previsto che, secondo gli esperti continuerebbe a privilegiare ancora una volta le grandi imprese emarginando le PMI e le società emergenti. Questa considerazione non è del tutto erronea, né tanto meno ingiustificata, perché segue le logiche di un mercato ultracompetitivo che premia la “differenza” e l’unicità. Questo si traduce in qualità e dunque in una durissima selettività operata proprio dall’Uffici competenti, Epo per primo.

Infatti, come affermato dal presidente dell’EPO Benoît Battistelli, solo il 25% delle domande pervenute diventano effettive concessioni, l’altro 25% avrà un’attuazione di riserva solo in alcuni paesi e il restante 50% sarà destinato al diniego. Perché quello che premia è la qualità indiscutibile in grado di tenere testa a colossi e brand di rilevanza internazionale. Ambire alla creazione di un brevetto unico, in questo contesto, garantirebbe una parità di condizioni per il richiedente, avrebbe valore in tutti i paesi dell’euro zona e avrebbe una gestione e dei costi centralizzati e di certo meno costosi. Proprio in virtù di questa selettività un brevetto unico avrebbe un valore intrinsecamente  più certo tale da renderlo un vero e proprio asset difficile anche da contestare in aule di tribunale.

  • I paesi che hanno posto il veto all’UPO sono Italia e Spagna, hanno guidato anche dei ricorsi (rigettati) e interrogazioni parlamentari nazionali per raggiungere degli accordi interni. Sembra ci si trovi ad un impasse senza via d’uscita.
  • Le motivazioni principali riguardano il trilinguismo (inglese, francese e tedesco) per la registrazione del brevetto unitario. Paesi a spinta nazionalista come l’Italia e la Spagna difendono a spada tratta la propria identità anche attraverso la lingua e in questo contesto avvertono una certa discriminazione ostativa ad ogni altro accordo.
  • In seconda istanza ci si trova dinnanzi il dilemma del tribunale unico le sedi nazionali dovrebbero autofinanziarsi e sappiamo bene lo stato finanziario di entrambe, nonché il percorso di razionalizzazione delle spese pubbliche che hanno investito anche l’organizzazione della giustizia italiana, tali da non giustificare l’introduzione di altre aule che ne appesantiscono la gestione.
  • L’elemento di maggiore contrarietà poi, sarebbe costituito dall’inevitabile perdita di introiti annuali in seno agli uffici nazionali (UIBM) elemento non di poco conto.
  • Se a ciò si aggiungono le tariffe ancora da definire per la registrazione UPO, le aziende e i governi nazionali si trovano in una difficile posizione senza poter legittimare agli occhi dei cittadini e dei settori di mercato colpiti un cambio di direzione che potrebbe peggiorare la situazione.

Nonostante l’Italia non abbia firmato questi accordi si è comunque sentita libera di aderire al progetto per istituire un tribunale unico, un impegno puramente informale ma che delimita ancora una volta, incertezze e poca chiarezza.

In Europa i lavori stanno andando avanti comunque e, per bypassare l’atteggiamento ostruzionistico di Italia e Spagna infatti, le istituzioni hanno ben pensato di agire facendo appiglio alla cooperazione rafforzata.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto il ricorso di Italia e Spagna proprio contro l’utilizzo della procedura della cooperazione rafforzata (C-295/11) e ha respinto quello della Spagna contro il regime linguistico.

Secondo il Ministro Guidi l’adesione al  brevetto unitario darebbe uno slancio positivo al mercato industriale nazionale, e riuscirebbe a fare chiarezza su strumenti e interventi legislativi fino ad ora adoperati. Tuttavia anche la convocazione stessa del dibattito è stata approssimativa perché pur avendo coinvolto i principali stakeholder esponenti dell’industria ed esperti di proprietà industriale l’organizzazione ha vacillato. Offrendo infatti meno di una settimana di tempo per preparare i pareri e le motivazioni utili per costruire un dibattito coerente con la produzione normativa in seno alle istituzioni europee.

Il 18 febbraio 2015 il Ministero dello Sviluppo Economico ha indetto una consultazione informale nei confronti dei settori della società civile più colpiti dala materia. Hanno risposto il Collegio Italiano dei Consulenti in Proprietà Industriale e la Confederazione dell’Industria Manifatturiera italiana e dell’Impresa Privata. E il risultato non è di certo incoraggiante.

La consultazione informale offriva la scelta fra le seguenti:

1: Sì all’adesione dell’Italia alla cooperazione rafforzata e alla ratifica dell’Accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti

2: No alla cooperazione rafforzata ma sì alla ratifica dell’Accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti

3: No alla cooperazione rafforzata e no alla ratifica dell’Accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti.

Il Collegio Italiano dei Consulenti in Proprietà Industriale – FICPI Italia e Confederazione dell’Industria Manifatturiera Italiana e dell’Impresa Privata CONFIMI hanno risposto privilegiando il terzo quesito. 

Il parere si fonda sulle motivazioni già evidenziate in passato dal Collegio: il sistema del brevetto unitario è “modellato ad uso e consumo delle grandi imprese estere”, per cui sfavorisce nettamente i paesi come l’Italia, le cui economie si fondano su imprese medio-piccole. Non sono di poco conto le perdite che subirebbe l’UIBM, né sono da sottovalutare le difficoltà che le PMI nostrane incontrerebbero approcciandosi ad una registrazione in una delle tre lingue previste che non è la propria. L’autofinanziamento previsto per il tribunale unico e il costo non ancora specificato delle tariffe non solo accrescono l’incertezza ma non vede via d’uscita sul piano dei compromessi delle parti.

Una normativa, quella europea che appare più sintesi di interessi delle macro-aree che una somma degli interessi dei Paesi membri globalmente intesi.

Per informazioni più puntuali consulta: Regolamento UE 1257/2012 e Regolamento UE 1260/2012 sulla disciplina del brevetto unitario

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